Il ritorno di un mito senza tempo
Gennaio 2025 segna l’uscita italiana di Nosferatu di Robert Eggers, un film che non è soltanto un nuovo tassello dell’horror contemporaneo, ma un evento cinematografico destinato a lasciare un segno duraturo. Fin dall’annuncio, il progetto ha attirato l’attenzione come una delle operazioni più ambiziose della recente storia del cinema di genere, non un semplice remake ma una vera e propria reinvenzione di un mito che da oltre un secolo continua ad affascinare e a inquietare. Il vampiro di Eggers non è solo un personaggio, ma diventa nuovamente un archetipo universale, capace di parlare tanto alle paure collettive quanto alle inquietudini intime dello spettatore.
Robert Eggers e la sua impronta autoriale
Non si può comprendere appieno questo Nosferatu senza considerare la filmografia di Robert Eggers. Ogni sua opera precedente — da The Witch a The Lighthouse, fino a The Northman — ha dimostrato una coerenza stilistica e tematica rara nel panorama odierno. Il rigore storico, l’attenzione ai dettagli linguistici e scenografici, l’uso di dialetti e lessici arcaici, la capacità di trasformare il folklore in horror psicologico, sono tutti elementi che ritornano qui, elevati da un budget maggiore ma sempre filtrati da una visione personale e intransigente. Eggers non si limita a raccontare storie, costruisce mondi, e il suo Nosferatu è la summa di questa poetica, un’opera che dialoga con il passato e allo stesso tempo afferma la sua assoluta contemporaneità.
Confronto con Murnau, Herzog e Coppola
Ogni nuova incarnazione del vampiro cinematografico deve inevitabilmente confrontarsi con le precedenti. L’ombra di Murnau, con la sua Sinfonia dell’Orrore del 1922, resta il riferimento visivo e simbolico più potente: la figura deformata di Max Schreck ha creato un’immagine indelebile, radicata nella storia del cinema. Herzog, nel 1979, ne aveva proposto una versione più romantica e decadente, con Klaus Kinski come vampiro tormentato dall’eternità e dalla solitudine. Coppola, invece, con Bram Stoker’s Dracula del 1992, aveva scelto una strada diversa, spettacolare e barocca, accentuando eros e melodramma. Eggers, con la sua opera, sembra raccogliere tutti questi fili e intrecciarli in una sintesi personale: mantiene la mostruosità perturbante di Murnau, assorbe la malinconia herzoghiana e rifiuta i tratti seduttivi di Coppola, preferendo restituire al vampiro la sua natura di forza primordiale e incontrollabile.
Un’estetica gotica di rara potenza
La fotografia di Jarin Blaschke conferma la solidità della collaborazione con Eggers. Ogni inquadratura appare come un dipinto carico di suggestione, dominato da un chiaroscuro che rimanda al cinema espressionista, ma con l’aggiunta di un’attenzione moderna al dettaglio materico. I colori sono volutamente desaturati, oscillando tra il grigio e il nero, con lampi improvvisi di rosso che evocano il sangue come ferita visiva. Le scenografie oscillano tra il realismo delle architetture nord-europee e la dimensione allucinata dei paesaggi transilvani. Non si tratta di una semplice ambientazione gotica, ma di un mondo immersivo che trascina lo spettatore in un incubo estetico, dove ogni elemento visivo sembra suggerire che la linea tra realtà e sogno è irrimediabilmente sfumata.
Un cast al servizio del mito
Il lavoro del cast è coerente con la poetica di Eggers, che predilige performance fisiche, realistiche e prive di artificio. Bill Skarsgård incarna un Conte Orlok disturbante e spaventoso, lontano dai cliché del vampiro elegante: la sua creatura è parassita, predatoria, quasi disumana. Lily-Rose Depp sorprende per intensità, dando al personaggio di Ellen una dimensione tragica che non scivola mai nel melodramma ma che vibra di malinconia e presagio. Nicholas Hoult, nel ruolo di Thomas, offre solidità e misura, anche se resta un personaggio meno stratificato rispetto alla protagonista. Willem Dafoe, infine, arricchisce la vicenda con il suo magnetismo, rappresentando la voce della sapienza e del dubbio in un mondo in cui fede e superstizione si scontrano senza tregua.
Il vampiro come forza della natura
Una delle scelte più efficaci del film è la rappresentazione del vampiro come catastrofe naturale, più che come villain individuale. Orlok non è soltanto una minaccia personale, ma una piaga biblica che devasta comunità, portando con sé morte, malattia e corruzione. Questa visione rende il film profondamente perturbante, perché il vampiro diventa metafora di epidemie, guerre e disastri che travolgono le società umane. Eggers aveva già lavorato su forze incontrollabili in The Witch e The Lighthouse, e qui prosegue quel discorso in forma più ampia e universale, trasformando il mito vampiresco in allegoria di paure collettive.
Temi e sottotesti stratificati
Il film non si limita a essere un’esperienza sensoriale, ma si arricchisce di un sottotesto sociale e religioso che ne amplifica il significato. La purezza violata, la malattia come simbolo di corruzione sociale, il contrasto tra fede e superstizione, sono tutti temi che emergono con forza. Nosferatu diventa così anche un discorso sulla fragilità delle comunità, sulla loro incapacità di reagire all’inatteso, e sulla tendenza a cercare rifugio in rituali e credenze piuttosto che affrontare l’orrore con lucidità. È un film che interroga la nostra stessa epoca, con le sue paure e le sue ossessioni, attraverso il filtro del mito.
Colonna sonora e dimensione sensoriale
La colonna sonora contribuisce a trasformare la visione in un’esperienza immersiva. Le musiche non accompagnano soltanto le immagini, ma diventano parte integrante del racconto, amplificando la tensione e suggerendo emozioni che si collocano tra l’epico e lo spettrale. I momenti di silenzio sono altrettanto importanti: Eggers sa quando lasciare che sia il rumore dei passi, del vento o dell’acqua a creare un’atmosfera sospesa. L’esperienza uditiva, unita a quella visiva, rende Nosferatu un’opera sensoriale totale, più vicina a un rito collettivo che a un semplice film.
Conclusione: un nuovo classico del cinema dell’orrore
Il Nosferatu di Robert Eggers si impone come una delle opere più importanti degli ultimi anni nel panorama dell’horror e non solo. Non è un remake, ma un film che riesce a dialogare con i suoi predecessori e a superarli, imponendosi come una trasposizione definitiva del mito vampiresco. Pur non privo di lentezze e di scelte che potranno dividere, l’opera convince per coerenza, intensità e coraggio, offrendo un cinema che non cerca compromessi ma punta a diventare esperienza memorabile. È un film che resterà, che verrà studiato e discusso, e che dimostra come il mito del vampiro possa ancora oggi parlare con forza a un pubblico contemporaneo, se trattato con rispetto, passione e visione.


